venerdì 11 marzo 2016

La competizione è positiva e indispensabile?


Tempo fa partecipai ad un corso per giovani imprenditori (non chiedetemi cosa ci facessi lì, perché non lo so nemmeno io!) e uno dei concetti fondamentali che fu più volte ribadito fu quello che "la concorrenza è positiva, non è un ostacolo ma una opportunità per migliorarsi".
Ma è davvero così?
La concorrenza è davvero sempre positiva? O sarebbe forse meglio chiedersi: "fino a che punto la competizione è positiva?"
Secondo la filosofia del non-dualismo, non esiste nulla infatti di maligno o benigno fine a se stesso.
L'ideale sarebbe un equilibrio fra i due estremi, ma possiamo davvero dire che questo equilibrio sia presente nella nostra attuale società?


Il modello di riferimento è il modello capitalista. I nuovi imprenditori vengono formati secondo questa filosofia.
Nel modello capitalista la competizione diventa il cardine su cui tutto poggia, essa è ciò che ci sprona a lavorare sempre più duro per ottenere risultati (economici) sempre migliori. Il migliore (o, in un contesto economico, quello con più capacità e/o soldi, N.B.) è quello che predomina sull'altro.
Ogni singolo aspetto della nostra cultura e della nostra civiltà è basato su questo concetto.
Fin da bambini ci esortano a dare il meglio di noi, in ogni situazione. A scuola dovevamo essere i più bravi, e venivano premiati soprattutto coloro che dimostravano più attenzione allo studio o una miglior assimilazione dei concetti. Per questo scopo esistono i "voti".
Anche nel tempo libero siamo stati indottrinati secondo la logica della competizione. I giochi che facevamo da bambini avevano lo scopo di esaltare il più veloce nella corsa, il più forte, il più abile. Per non parlare dello sport, che è da sempre stato travisato e inquinato dall'eccesso di competizione. Lo sport spesso diventa per i bambini come un palcoscenico in cui emergere e dimostrare di essere il "migliore" degli altri nel fare una determinata cosa piuttosto che un'altra.
Poi siamo cresciuti e abbiamo fatto il nostro ingresso nel mondo del lavoro... e qui ciò che conta è essere i migliori nel proprio campo, i più preparati, i più referenziati, i più istruiti. Già ottenere un posto di lavoro è un impresa! Per essere assunti dobbiamo dimostrare di saper fare chissà cosa, dobbiamo essere all'altezza e preparati minimo come lo sono gli altri. Dobbiamo essere disposti a "venderci" per ottenere una posizione migliore e di prestigio o uno stipendio più elevato.
Come imprenditori o commercianti, invece, dobbiamo "emergere" e distinguerci dalla "concorrenza". Siamo costretti a partecipare a questa folle corsa verso il successo imprenditoriale, in un contesto in cui tutti desiderano la stessa cosa per sé stessi ma allo stesso tempo sanno che solo il migliore potrà cavarsela.
Allora si è disposti a tutto pur di raggiungere questo obbiettivo. Ci sono persone che si siedono a tavolino per studiare un modo in cui "battere la concorrenza", con manovre e tattiche che magari sì, portano ad un successo. Ma la domanda che bisognerebbe sempre porsi è: A QUALE PREZZO?
Stiamo pagando un prezzo enorme a causa di questa scelta. Questi comportamenti ci stanno portando a costruire una società basata solo sulla legge de "il pesce grosso mangia quello più piccolo".
Si premia l'infamia, si premia il bullo, si premia il violento. Si esilia l'empatia, la sensibilità, la compassione.
Così facendo si favorisce un clima in cui solo i più "grossi" possono sopravvivere, sempre a discapito dei più "piccoli" che soccombono uno dietro l'altro.
Ma questo non è altro che un assurdo attentato alla "biodiversità"!

Spesso questi comportamenti vengono in parte giustificati prendendo spunto dal regno naturale. La competizione è giustificata dicendo che essa è alla base di ciò che avviene quotidianamente in Natura. Gli animali infatti competono fra loro, le piante competono fra loro... tutto compete per essere il "meglio" e per sopravvivere; di conseguenza, secondo una logica antropocentrica, l'essere umano è colui che ha vinto in questo "gara" evolutiva.

Ma quanto tutto ciò corrisponde a verità?
Forse poco o addirittura nulla. Questa è solo una visione distorta della realtà; a volte mi chiedo se queste persone si siano mai fermate ad osservare realmente ciò che accade in natura o se, semplicemente, parlano per luoghi comuni o per sentito dire. Vedono in un documentario un leone che sbrana una gazzella e subito pensano: "ecco, così funziona in natura". Ma così si stanno perdendo il resto del film. E' un po' come vedere una scena di un film e pretendere di avere già una visione d'insieme della trama.

La scienza ci stupisce ogni anno con nuove scoperte che riguardano il modo di relazionarsi degli animali con ciò che li circonda. Ancor più sorprendenti sono quelle ricerche che riguardano il comportamento delle piante.
Ciò che viene fuori da queste ricerche è che la competizione non è poi così diffusa come si crede. La Natura è ANCHE competizione, ma in realtà il fine ultimo della Natura NON E' competere con tutti e tutto.
Anzi, possiamo addirittura osservare che la competizione in realtà è sintomo di un degrado ambientale e causa di un degrado socio-culturale.
Dove c'è abbondanza la competizione si fa scarsa, se non addirittura assente. Dove c'è penuria, la competizione diventa sempre più intensa ed estrema.
Dove le condizioni sono ideali la tendenza è quella a instaurare un rapporto di simbiosi, di tolleranza e collaborazione reciproca.
Dove le condizioni sono pessime prevale quasi sempre l'individualismo e la competizione raggiunge il suo punto estremo.
Pensiamo ad una specie animale qualsiasi. Ora poniamola in due ambienti diversi... un deserto e una foresta.
Se mettiamo tale animale in un deserto, il suo istinto lo spingerebbe a fare di tutto pur di sopravvivere. In tale contesto ambientale la socialità diventerebbe un peso e non un punto di forza. Prevarrebbe l'individualismo in quanto è più facile andare alla ricerca di cibo per sfamare sé stessi, piuttosto che condividere tale miseria con gli altri. Questo lo spingerebbe a battersi duramente contro gli individui della sua stessa specie, fino al punto di causarne addirittura la morte.
Ora mettiamo lo stesso individuo in una foresta pluviale, magari immaginiamocela piena di cibo, di frutta di piante, di prede da catturare.
E' chiaro che in un tale contesto la socialità sarebbe molto più avvantaggiata, e la competizione sarebbe quasi del tutto inutile. A che scopo competere se c'è cibo in abbondanza per tutti?
Questo accade ad esempio con alcune specie di scimmie, che si nutrono tutte sullo stesso albero. In un clima di abbondanza si diventa tutti molto meno inclini all'aggressività, sicché non è raro vedere specie diverse di scimmie giocare fra loro o spulciarsi a vicenda.
Questo è ciò che avviene davvero in Natura. Né bianco né nero, semplicemente un'infinito arcobaleno di colori!

In conclusione, per rispondere a questa fatidica domanda, fino a che punto la competizione è davvero positiva?
Mi verrebbe da rispondere dicendo che la competizione può assumere un valore positivo solo e soltanto finché questa è costruttiva e porta un reale beneficio a entrambe le parti in competizione. Quando questa non va ad intaccare il naturale manifestarsi di fenomeni come la simbiosi, quando questa non soffoca l'empatia che tutti noi siamo istintivamente portati a provare.
Ma questo difficilmente accade nella nostra società. Perché non vi è equilibrio. La competizione ci sta portando soltanto verso l'autodistruzione di tutti i principi umani, in favore di un individualismo totalmente privo di ogni forma di altruismo e/o buonsenso.
L'essere umano inconsapevolmente è entrato addirittura in competizione con la Natura stessa. Ma così esso è e sarà sempre condannato a soffrire. Perché a questo porta la competizione: all'infelicità e alla solitudine dell'anima.


8 commenti:

  1. Caro Alessandro,
    grazie per questo nuovo interessante articolo.
    La competizione, io non la sopporto più.
    Sono anticompetititvo.
    Sono collaborativo.
    Ormai ho 58 anni, e sono stufo di lottare (in verità ho lottato tutta la mia vita con me stesso, per riuscire a superare dei problemi psicologici miei, personali).
    Lottare, per cosa poi ?
    Voglio godermi la vita, in pace il più possibilmente.
    .----
    Qui dove vivo, dopo aver frequentato le scuole superiori ed aver fatto il militare per un anno, NON ho avuto bisogno di cercare lavoro.
    Mi hanno telefonato a casa, per offrirmelo.
    Quando eri assunto, lo eri per un periodo di prova di alcuni mesi e, se il “capo” era contento di te, eri assunto per sempre, fino alla pensione.
    Era sufficiente lavorare in modo onesto.
    Non serviva essere i campioni.
    Insomma, non c'era disoccupazione.
    .----
    Ma poi, sono arrivate le macchine.
    Una macchina, esegue il lavoro di tanti esseri umani, e non sciopera.
    E, è arrivata la delocalizzazione.
    Il lavoro adesso scarseggia.
    .----
    Il sistema sociale in cui viviamo stà distruggendo noi, la nostra serenità e la natura.
    Senza la tranquillità di avere un lavoro per sempre, non si può programmare serenamente il futuro.
    E senza lavoro, è difficile perfino vivere il presente.
    .----
    Io sono NOTAV, non voglio che centinaia di chilometri di gallerie ferroviarie distruggano tante falde acquifere e corsi d'acqua della Val d'Adige, e sono solidale con tutta la gente vittima del TAV (Valsusa, Terzo Valico, Mugello, ed altri).
    Ieri un mio ex collega mi diceva : il TAV (Treno Alta Velocità) creerà posti di lavoro.
    E io penso : distruggiamo il pianeta per creare posti di lavoro ?
    Non in questo modo !
    Un tempo si diceva : con l'aiuto delle macchine, avremo più tempo libero : allora, io dico, riduciamo l'orario di lavoro e lavoriamo tutti !
    Facciamo in modo che gli stipendi siamo MOLTO più simili uno all'altro : l'impegno che metto io in una ora di lavoro è più o meno lo stesso di un grande manager che guadagna cifre esorbitanti, e di un bracciante vittima di sfruttamento.
    Poi, per rispetto verso la natura, non dobbiamo fare grandi opere e nuove cementificazioni.
    Basta ! Godiamoci la vita in santa pace, collaborando, condivivendo, con amore.
    Alexander Langer diceva :
    “più lento, più profondo, più soave”.
    Ed io la penso allo stesso modo.
    .----
    Desidero una vita solidale, non competitiva.
    E la desidero in equilibrio all'interno della natura.
    Una vita fondata sul rispetto.

    Tiziano

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    1. Grazie mille per questo tuo commento.
      Sai, pure io sono stanco di dover continuamente lottare contro i miei simili... sono arcistufo di tutta questa competizione.
      Anche io desidero questo: una vita non competitiva, in equilibrio e nel rispetto della natura, in pace nel Tutto.
      Ma attualmente nel mio contesto societario ciò non è possibile.

      Ciao.

      Alessandro

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  2. Hai collegato bene il concetto di competizione al capitalismo. Infatti le regole del capitalismo sono basate proprio sulla competizione. L'argomento comunque è molto complesso, nel senso che è difficile dire cosa dovrebbe fare oggi una persona senza le risorse necessarie (al capitalismo) a sopravvivere ed una invece capace che in alcuni casi viene discriminata (per dare spazio a quelle considerate meno capaci). Un esempio banalissimo che mi viene in mente sono le famose "quote rosa". Ma qui si apre un altro discorso che tanto mi piace ma in cui non voglio entrare.
    A mio parere comunque tutto è iniziato dall'avvento della carriera, quando si iniziò a distinguere il cosiddetto impiegato dall'operaio. Ma anche quando si studia la struttura di un'azienda, lo sappiamo chi sta al capo: il titolare, poi ovviamente ci sono i dirigenti, i quadri, gli impiegati ed infine gli operai. C'è poi una serie di polemiche sul perchè alcuni operai guadagnano di più degli impiegati, ecc... o anche il caso dei professori ad esempio. Insomma stiamo lottando l'uno contro l'altro, ma non perchè chi sta di fronte a noi è un nemico, semplicemente perchè il sistema l'ha fatto diventare tale per noi.
    Nel passato poi la situazione non è che era molto migliore, nel senso che avevi la tua terra di cui ti prendevi cura, la tua famiglia e il lavoro che compievi per te e per i tuoi cari. Certamente poteva arrivare un "Cesare" e toglierti tutto quel che avevi, e ciao a tutto quel che avevi. Oggi succede la stessa cosa ma in modo diverso, sono cambiati i modi di farlo.
    Sinceramente spesso mi pare che l'essere umano sia difettoso di suo e non può evolvere senza questi tipi di derive che fanno male sia all'ambiente che alla collettività.
    Si possono fare tanti discorsi ma alla fine risolvere il problema è un dilemma. Fossi Dio, condannerei l'umanità ad un altro diluvio universale :D (o anche "S'i fosse fuoco, arderei 'l mondo" - Cecco Angiolieri)

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    1. Il punto di vista che proponi è interessante.
      Indubbiamente da sempre l'essere umano si è trascinato dietro ogni sua debolezza: le aberrazioni dell'epoca moderna sono solo l'apice, la massima espressione di tutto ciò.
      Il mio discorso sulla concorrenza e sulla competizione era un po' più generale se vogliamo.
      Io credo sia stata proprio questa "imposizione culturale", generata da delle condizione sfavorevoli alla vita umana, il punto da cui è partito tutto.
      Questa crisi in particolare ha molto accentuato la competizione, a tutti i livelli.
      Concordo con te comunque sul fatto che il problema non può essere risolto facilmente, per ora mi accontento della consapevolezza (anche se è una magra consolazione).
      Sarei anche io propenso per l'estinzione della specie umana... ma poi penso: "va beh, ormai dato che esiste, usiamola per qualcosa di utile" :P
      Buttare al vento milioni di anni di evoluzione alla fine sarebbe un'enorme spreco di potenziale... e poi non si sa mai che qualche essere umano "sano" esista ancora. :)
      Il problema è far rinsavire il restante 99% della popolazione globale.

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    2. Diciamo che il desiderio di una o più persone non deve determinare il destino di un'intera umanità. Io sono propenso a pensarla a volte in quei termini a causa delle emozioni, ma non sono le emozioni umane a decidere per ciò che è giusto e sbagliato, anzi, è proprio il contrario - l'imparzialità.

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    3. Ciò che è giusto o sbagliato non è necessario che sia per forza deciso o determinato: tutto ciò di cui abbiamo realmente bisogno è già scritto nei nostri cuori.
      Soltanto scendendo negli abissi del nostro essere possiamo attingere ad una fonte che sgorga eternamente, le cui acque sono in grado di placare ogni nostra sete.
      L'umanità ha perso questa capacità perché ha scelto di placare la propria sete con il vino (metaforicamente n.b.), ma il vino non è in grado di placarla realmente. Il vino ci impedisce di scendere in profondità e di accedere a questa fonte.

      Questa fonte, è ormai inutile dirlo, non è altro che il portale che ci collega inesorabilmente al Tutto.

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  3. .......una fonte....il portale che ci collega inesorabilmente al Tutto.

    Notavo come tu scrivessi quel Tutto (con lettera maiuscola) esattamente come lo si fa con Dio.

    Effettivamente Dio è Tutto, e quella fonte è il portale che ci tiene strettamente collegati...non credo che bisogna studiarle le certezze, forse basta solo la giusta predisposizione all'ascolto...all'ascolto di se stessi..

    Quello che hai scritto Xandrex son certa che tu lo abbia fatto perchè sai ascoltare molto bene te stesso...non'è qualcosa a cui tutti riescono,ma sono certa che ognuno possiede quella fonte e la maschera è il mantello scuro il quale si sceglie per coprire la fonte delle certezze con quella del conformismo..

    Pasqua, cosa rappresenta davvero x te?

    Buon fine settimana ed un augurio di pace e serenita' a te...ciao
    L.

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    Risposte
    1. Ciao Linda,
      Io credo che nessuno può davvero "possedere" quella fonte, ma sicuramente quella fonte è accessibile a tutti, a chiunque sia in grado di accedervi, a chiunque bussi a quella porta.
      Dici bene, a volte anche se sappiamo ascoltare bene noi stessi siamo costretti ad indossare una maschera, un mantello. A volte non lo si fa con l'intento di coprire "la fonte", ma lo si fa semplicemente perché non c'è altra via di fuga. Per sopravvivere a volte è necessario scendere a dei compromessi, purtroppo.

      Pasqua, cosa rappresenta davvero per me? Sarebbe una bella idea per un'altro post.
      Il fatto è che, ora come ora, la Pasqua per me non significa molto.
      Ho fin troppi grattacapi di cui occuparmi, non ho avuto nemmeno il tempo per pormi il problema...

      Anche io ti auguro un buon fine settimana, carico di pace e serenità. Ciao.

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